25 aprile 1945


 
" Non so chi fece sapere a mio padre che il 25 di aprile gli Americani avrebbero sfilato sul Passo del Bracco, ma all'alba di quel giorno eravamo già in cammino per raggiungere Mattarana. Mia mamma aveva preparato il giorno prima la torta di riso, che portammo con noi insieme al pane e al formaggio. Mio padre portò anche il suo vino, quello fatto con l'uva "merella", l'uva fragola. Partimmo da casa noi due soli. Mia mamma non venne perchè aveva ancora troppa paura dei militari, di tutti i militari. Così all'alba ci incamminammo di buon passo, raggiungendo Pistone e la mulattiera per Roverano. Scendemmo alle Ferriere, alle spalle di Levanto e da lì risalendo la costa arrivammo a Mattarana, vicino a Carrodano, sul Passo del Bracco. Camminammo per circa tre ore, mentre il sole salendo alto nel cielo rendeva ancora più luminosa quella giornata che non avrei più dimenticato. I boschi intorno erano pieni di gente, che come noi voleva raggiungere la strada del Bracco per vedere lo spettacolo davvero incredibile di una sfilata militare pacifica. Arrivammo verso le nove unendoci a quelli che già stavano lì, provenienti da altre direzioni o dalle case vicine. Aspettammo a lungo, ma nessun carro armato si vedeva in lontananza. A mezzogiorno lungo la strada, sui prati, la gente cominciò ad accomodarsi e a tirare fuori dai fagotti annodati il pranzo portato da casa. Era una festa, lo sentivamo. Si aspettava, chi emozionato, chi intimorito, come se quella sfilata irreale, dopo tanta guerra, avesse potuto delineare il confine fra il prima e il dopo, fra il passato e il futuro, fra la morte e la vita. Nel primo pomeriggio finalmente sentimmo applausi in lontananza, gli Americani erano arrivati. Vidi avanzare lungo la strada, molto lentamente, il primo carro armato, su cui sedevano come arrampicati diversi militari, alcuni dei quali avevano tratti somatici così sconosciuti per me da farmi paura. Mi aggrappai alle gambe di mio padre, avevo 12 anni e il terrore della guerra ancora lo sentivo camminarmi accanto; mio padre sorrise e mi disse di non avere paura, che quelli non erano soldati venuti per uccidere, ma per portare la pace. Appena arrivarono più vicino vidi che portavano anche la cioccolata. Io non avevo mai mangiato la cioccolata. Le caramelle sì, ma la cioccolata era davvero un sapore sconosciuto per me. I soldati gettavano dai carri e dai camion tavolette quadrate e scurissime, dal sapore davvero indimenticabile e intanto ridevano, scoprendo grandi dentature bianchissime. Toglievano i berretti e li lanciavano in aria, salutavano applauditi da un mare di esserei umani ridiventati per quel giorno bambini, chini a raccogliere voracemente la cioccolata e le sigarette americane. La lunga colonna di mezzi militari, di cui facevano parte anche moto, sidecar e numerose jeep, si interrompeva ogni tanto, lasciando credere per un attimo che la sfilata fosse finita, ma un applauso in lontananza, qualche curva più in là, annunciava l'arrivo di altri convogli e la festa continuava. Non ci furono canti o musica in quelle ore; solo le grida, gli applausi, i clacson delle jeep e le campane....i campanili del Santuario di Roverano, della ciesa di Carrodano e Mattarana, suonavano le campane a festa, incessantemente. Ora sì, la guerra era andata via.
Verso le cinque del pomeriggio riprendemmo il cammino verso casa, seguendo il fiume di gente che in direzione contraria rispetto al mattino si divideva in rivoli lungo le mulattiere raggiungendo le case dei monti. Arrivammo a casa che era quasi buio. Da lontano vidi la mia casa, il fumo che usciva dal camino e la lampada accesa. Chiesi a mio padre se i cattivi, i fascisti e i nazisti e tutti quelli che avevano approfittato della guerra per fare altro male, sarebbero tornati ancora a passare davanti alla nostra porta e mio padre disse che no, non sarebbero tornati mai più. Purtroppo nei giorni seguenti vidi ancora uomini con facce da assassini passare dai miei prati, ma non si fermarono mai. Un giorno vedemmo passare un uomo che aveva al braccio un orologio e appeso al collo un paio di scarpe di cui conoscevamo il proprietario; mio padre aspettò che si allontanasse e si inoltrò nel bosco, dove dopo una breve ricerca trovò il corpo senza vita di quel conoscente. 
Quella sera però, di ritorno da quella giornata indimenticabile durante la quale avevo toccato con mano la dolcezza della libertà dal fascismo e dalla guerra, mi sentii davvero felice. Ricordo il minestrone buonissimo della mia mamma, la nonna e il nonno che erano ancora con noi, i racconti dei particolari, la gente, i soldati :- ....nonna che labbra spesse che avevano ..e la pelle scura, non tanto ma un po' sì...- la cioccolata che papà aveva portato per quelli a casa e che mangiai ancora, perchè è buona la cioccolata, e non basta mai, come la libertà.Poi, finalmente, andai a dormire felice; avevo trascorso un indimenticabile 25 aprile, il primo di una lunga serie, grazie a Dio."

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