...arrivederci


Il 1962 è una data fondamentale nella vita di mia madre, segna come uno spartiacque il confine profondo tra la gioventù e la maturità, tra le radici e il futuro. In quell'anno cambiarono molte cose nella società italiana, grazie al benessere economico seguito alla ricostruzione : cambiarono le abitudini di vita e le aspettative, l'Italia passava dall' essere un Paese prevalentemente agricolo all' avere forti potenzialità industriali. In pratica la società ne fu stravolta sin nei suoi minimi aspetti e il comprensibile disagio di un tale repentino cambiamento non fu avvertito dalla popolazione solo perché preda di un'euforia consumistica senza precedenti. Improvvisamente il così detto “ boom “ economico raggiunse i paesi, svuotandoli di gente e di significato: quello che prima era sinonimo di tranquillità e prosperità adesso si chiamava isolamento e vita grama. Camminare a piedi lungo i sentieri dei monti non permetteva più di “arrivare in tempo“, improvvisamente diventavano necessari il telefono e l'elettricità, l'automobile e la vicinanza ai negozi e agli ospedali... Eppure Giuditta e Camillo avevano cresciuto i loro figli senza tutto questo, avevano cenato alla luce dei lumi ad olio, trascorso l'inverno al caldo del focolare, percorso distanze notevoli sotto indimenticabili nevicate per andare a chiamare il medico, che era sempre arrivato in tempo per curare... Eppure salire e scendere a piedi dai monti aveva reso solidi i rapporti con amici e parenti, aveva garantito piccoli commerci, aveva aiutato gli uomini a coltivare nel proprio animo sentimenti e valori insostituibili come la solidarietà, l'altruismo e la generosità, il rispetto e la comprensione per la povertà , l'amore per la fatica del lavoro onesto.... Eppure quel piccolo mondo rurale era stato fino ad allora il centro dell'universo, per chi ci aveva vissuto felice, era stato il punto di riferimento cui tornare, il cibo sano e sicuro in cambio della fatica e del rispetto per la natura, l'acqua per bere e lavarsi che dalle profondità della terra giungeva fino agli uomini pulita e generosa, gratuita e grata per le cure con cui l'uomo ne conservava la sorgente e la preservava. All'improvviso e senza dolore le persone cominciarono a specchiarsi nello schermo dei televisori, che si diffondevano nelle case come un'epidemia; si specchiava la gente, e non riconosceva più le sue radici o peggio se ne vergognava. All'improvviso e senza dolore tutto divenne vecchio sui monti: le pietre della casa, i pavimenti di mattoni rossi, il tetto da cui una notte era entrata la neve , ricoprendo come una trapunta immacolata mia madre addormentata...Tutto divenne obsoleto e lento, incapace di reggere il passo con la vita moderna che voleva tutti indaffarati, stritolati nei ritmi veloci delle città, a lavorare per guadagnare perché lontana dalla generosa natura la vita degli uomini non era più paragonabile allo sbocciare di un fiore o allo schiudersi delle uova in un nido di fringuello, diventava lotta per il benessere, fino alla perdita del proprio significato più elementare, fino alla perdita della propria memoria.

Così molti dei giovanotti dei monti furono assunti dalle Ferrovie, che svolgevano un ruolo di collegamento importantissimo visto che le automobili erano ancora poche; altri si trasferirono vicino alle fabbriche e agli stabilimenti industriali, altri ancora furono assunti dalle imprese edili e di costruzioni, perché c'era bisogno di strade, di ponti e di case, tante case altissime e affollate.
In questa atmosfera di euforia e di aspettativa i monti si svuotarono velocemente, nel 1962  c'erano pochissimi animali al pascolo, nei campi non c'era più grano sotto il sole, la trebbiatrice di mio nonno rimase ad arrugginire, dimenticata, a Parodi.

Come attratti da un misterioso richiamo a cui ancora oggi non sappiamo dare un nome, ma che con una buona dose di sarcasmo potremmo definire progresso, le famiglie dei monti scesero dai crinali con i loro ricordi impacchettati insieme alle suppellettili di casa. Se ne andarono Manduin e i suoi, Arturo e la famiglia; come per una crudele magia i monti intorno alla casa furono vuoti di uomini ed animali, silenziosi e desolati. Non si sentivano più le voci delle donne che chiamavano i figli e i mariti, ne' le canzoni e le fisarmoniche della domenica, non la campanella della Cappelletta, nella cui cappella si “diceva“ Messa ogni domenica mattina.. tutto quel traffico di persone, animali e cose che si muovevano lungo le strade dei monti, rendendo vivi quei prati e quelle terre strappate alla montagna generosa, rese scure dal lavoro e dal nutrimento dell'uomo, cessò di colpo, come un respiro trattenuto, e diventò uno struggente ricordo.







 
Lasciarono la casa poco dopo le nozze di mia madre, scesero un'ultima volta quei crinali e tutto sembrò finire così. Finì una bella stagione fatta di tante gioie e tanti dolori, ognuno di loro portò con sé un pezzo di quel piccolo mondo sereno, ognuno se lo tenne chiuso nel cuore per il resto della vita. Poi, a fatica, col cuore in gola e le gambe incerte per l'emozione, mia madre tornò, tanti anni e tanta vita dopo a salutare i suoi monti. Dapprima fu soltanto dolore, come se avesse sentito , concentrato in quell'istante, lo strappo delle sue radici, lo sradicamento di tanti anni prima; poi diventò un bisogno costante di pace e di appartenenza: tornare alla sua casa, ispezionare le pietre e i campi ormai invasi dalla vegetazione spontanea, la casa diroccata che come un faro segnava ancora i punti di passaggio della vita umana su quei monti. Cominciò così il suo lungo racconto, un lento salire e scendere a piedi i crinali dei monti con la mente e il cuore; seduta sugli stessi gradini dove suo nonno guardò la stupidità e la ferocia delle camicie nere con la testa tra le mani,mia madre ricompose pezzo dopo pezzo tutto il mosaico della sua storia, con struggimento profondo, con amore ancora più grande per chi non poteva più essere lì a ricordare. Nel corso degli anni è tornata come un pellegrino a quella casa, la sua casa, ogni volta più serena e sicura di rendere giustizia, nel ricordo, alle fatiche e alle sofferenze di chi aveva dato tutto a quel luogo, e tutto ne aveva ricevuto. Ancora oggi, quando il bosco comincia a vestirsi di colori incredibili e l'aria si fa sottile , prima che il “ciazì" annunci la neve e convinca gli ultimi funghi a rimandare al prossimo autunno la loro comparsa, lei torna ai suoi monti, con suo fratello Patrizio, si siede su un sasso grande, in faccia a Roverano, dove sua nonna lasciava sempre un fiore e una preghiera , saluta nel leggero soffio del vento quelli che non ci sono più e sorride .


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